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La Padula

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Il Parco della Padula, con il suo patrimonio arboreo, la grande villa ottocentesca oggi sede museale, e le installazioni di arte contemporanea, non è soltanto uno spazio ricreativo immerso nella natura ma una fonte di arricchimento culturale per la cittadinanza e i turisti. 

Il complesso ebbe origine nel 1879 per volontà dell’imprenditore Bernardo Fabbricotti (1834-1916), esponente di una famiglia che fu protagonista di una strabiliante ascesa sociale: da cavatori a grandi industriali del marmo con orizzonti commerciali amplissimi. Per oltre un secolo, fino agli anni ’30 del Novecento, il nome dei Fabbricotti ha dominato l’economia marmifera, finendo per rappresentare nella memoria collettiva il simbolo di una lunga fase storica e sociale.  

Già il capostipite Domenico Andrea (1788-1877) abitava in una casa padronale posta nel “Predio della Padula”, un’area ai margini della città con terreni piantati a olivi e una zona inferiore ortiva che confinava col terreno paludoso (da cui il toponimo “Padula”) attorno al canale del Ninfale. L’abitazione originale fu ingrandita e ammodernata tra 1834 e 1838, mentre venivano costruite case coloniali e annessi agricoli nella parte inferiore della tenuta.  

Bernardo, che aveva retto a lungo la filiale londinese della ditta di famiglia, ereditò la proprietà alla morte del padre, ed incaricò l’architetto Vincenzo Micheli (1833-1905) della costruzione di una nuova villa con parco all’inglese: il nuovo edificio, di ispirazione rinascimentale, presenta un’architettura imponente e severa, con l’uso del marmo locale limitato al balcone della facciata e alla scalinata d’accesso. La posizione domina il parco, la cui estensione raggiungeva ormai i nove ettari, e la sottostante città, affermando la posizione sociale, e il buon gusto di matrice internazionale, del suo proprietario. Bernardo fece erigere a Micheli altre due ville, una a Livorno, l’altra a Montughi, presso Firenze, dove risiedette anche la regina Vittoria (nel 1894), ma le fortune dei Fabbricotti non superarono lo shock della grande crisi del 1929 che, unita agli effetti delle politiche monetarie del regime, portarono al crollo economico della dinastia.  

Spogliata dei suoi arredi, la villa fu quindi alienata, mantenendo le sue funzioni agricole: nel secondo dopoguerra la struttura rimase a lungo abbandonata e preda di vandalismi. Il recupero prese le mosse dal parco che ospitò, dagli anni Ottanta, un cinema all’aperto, concerti e festival musicali.  

Una prima installazione artistica, in occasione della X Biennale di Scultura di Carrara (2000), aprì quindi la strada ai più ampi interventi messi in opera per la biennale del 2002, con il posizionamento di sette opere site-specific tutte ancora conservate nel parco. 

Nel 2018, infine, si è concluso il restauro della villa, che ospita il Museo Carrara e Michelangelo (CARMI) e mostre temporanee. 

L’ingresso al parco può avvenire dall’accesso superiore su via di Sorgnano, in prossimità dell’edificio principale, o da quello inferiore sulla via di Gragnana, che avviene attraverso l’estrosa portineria (1890), costruita in forma di piccolo castello da Leandro Caselli (1854-1906).  

Preceduta dall’adattamento di una rima dantesca (“lascia dir le genti // torre che non crolla // all’impeto dei venti”), la cosiddetta “Torretta” conduce, attraverso un alto ponte, alle pertinenze agricole della villa che oggi ospitano i laboratori di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Carrara. La salita procede con ampi tornanti, tra uliveti e alberi centenari, superando sulla sinistra il fabbricato noto come villino Vittoria, dove ha sede una ludoteca. A poca distanza, immersa tra gli ulivi, la Stanza Bianca del Silenzio (2000) di Anne e Patrick Poirer, piccolo edificio cubico in blocchi di marmo, ideato come luogo di meditazione e isolamento all’interno del parco.  

Segue Crescita, di Dani Karavan (1930-2021); prima tra le opere realizzate per la biennale del 2002, a cura di Giuliano Gori, la scultura ambientale è composta da un grande blocco di marmo con una violenta frattura nella quale è stato piantato un olivo, in un insieme carico di significati simbolici riassunti dalla frase biblica incisa nel marmo: “L’uomo è un albero del campo”.  

Raggiunta la villa e superato il centro visitatori (sulla sinistra), si raggiunge l’ingresso superiore del parco, nei pressi del quale si incontra Curved Wall (2002) di Sol Lewitt (1928-2007), muro curvilineo in piccoli cubi di marmo, che intende coniugare la serialità della cultura minimalista con l’artigianalità dei laboratori carraresi.  

Poco oltre, nel prato soprastante la villa, Omaggio a Jean-Jaques Rousseau (2002) di Ian Hamilton (1925-2006), con il profilo di un grande calice disegnato dal ritaglio di due enormi lastre in marmo piantate nel terreno. L’iscrizione (“Jean Jaques Rousseau / Fu lui che fece dell’idea della natura l’ispirazione etica, politica e critica di una intera generazione”), cita lo storico Alfred Cobban nell’intento di sottolineare la centralità della natura nella vita umana.  

Sorpassato lo stagno, si sale verso la parte più suggestiva del parco, dove le rocce sono state disposte a formare una gola artificiale, con camminamenti che conducono nel bosco: qui si trova l’Uovo in marmo (2002) di Claudio Parmiggiani, incastonato tra le rocce nell’intenzione di comunicare un senso di sospensione e imminenza nel rapporto uomo-natura.  

Tornando a scendere si dovrà raggiungere un piccolo e anonimo capanno in muratura, per scoprire Hegel’s Owl (2002) di Robert Morris (1931-2018): affacciandosi all’oblò posto sulla porticina in legno, e premendo il pulsante posto a lato della stessa, spunterà dal buio una civetta in marmo che sembra voler aggredire lo spettatore, riferimento alla nottola di Minerva citata da Hegel e invito a scrutare nel buio del proprio intimo escludendo il mondo fisico.  

Nella vecchia voliera dei Fabbricotti sono invece ospitate le Ballerine (2002) di Luigi Mainolfi, sei sferoidi di marmo muniti di gambe tentacolari dall’inquietante presenza. Il percorso di conclude con Aspettiamo Visite (2002) di Mario Merz (1925-2003), un busto ed alcuni frammenti in marmo posti sui davanzali della villa, quasi fantasmi di antichi inquilini e visitatori, in un contesto al quale aggiungeva fascino lo stato di abbandono nel quale versava l’edificio all’epoca in cui fu concepita questa scultura ambientale. 

La visita può concludersi con la visita al museo CARMI, dotato di una collezione permanente che vuole illustrare il rapporto di Michelangelo con Carrara, ed ospita regolarmente mostre temporanee.