Oggi pienamente integrata nel tessuto urbano, ma un tempo sita in aperta campagna, la chiesa di San Francesco di Carrara, con il suo convento, chiude scenograficamente la prospettiva di via Verdi (un tempo Stradone di San Francesco), asse principale per lo sviluppo della città ottocentesca.
Un’alta scalinata, risalente al 1643, conduce al bel loggiato della facciata tardo seicentesca: il complesso fu eretto in varie fasi, la prima delle quali risale alla fine del Cinquecento e ai Frati Conventuali Riformati. A questi subentrarono, nel 1628, i Francescani Minori Osservanti, i quali ampliarono il nucleo originario con l’aiuto del marchese Carlo I Cybo Malaspina. Nel corso del Settecento fu eretta la nuova torre campanaria (1747) e si ingrandì notevolmente l’edificio conventuale, arricchito da una nuova cantina e da una fornita biblioteca.
Durante il periodo napoleonico il corpo della chiesa fu affidato al pittore parigino Jean-Baptiste Desmarais (1756-1813), chiamato ad insegnare nella locale Accademia di Belle Arti, il quale ne fece uno studio di scultura salvandolo dalla totale spoliazione. Divenuto di proprietà comunale, il convento conobbe quindi nuove destinazioni d’uso, prestandosi ad ospitare scuole elementari, ginnasiali e tecniche e fungendo anche, per brevi periodi, da ospedale o caserma. Mentre la chiesa, dal 1920, fu riaperta al culto, il resto del complesso fu quindi abbandonato ed ospita, dopo un lungo restauro conclusosi nel 2006, il MudaC (Museo delle arti Carrara).
L’interno della chiesa, recentemente restaurato, è a pianta rettangolare e navata unica, secondo uno schema ampiamente diffuso per le chiese conventuali della controriforma; l’impianto è molto semplice ma arricchito, nel corso dei secoli, da numerosi lavori di architettura e scultura in marmo di scuola locale.
L’altare maggiore, eseguito tra 1627 e 1643, rientra nella categoria degli altari a retabulum, con porte affiancate, largamente diffuso nel territorio e riconducibile a modelli usciti dalla bottega dei Bergamini. Le statue dei santi Francesco e Bernardino da Siena, invece, risalgono al 1767 e sono opera di Giovanni Antonio Cybei (1706-1784) in sostituzione di esemplari precedenti, poi posti nelle nicchie della facciata.
Spicca, sul fianco destro della chiesa, l’altare di Sant’Antonio da Padova, realizzato tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo dalla bottega dei Lazzoni: concepito come un’esuberante macchina scenica, l’altare è riccamente intarsiato, con ampio uso di marmi colorati e due preziose colonne tortili in Rosso di Francia. L’ancona centrale in marmo statuario, con la Vergine e Sant’Antonio da Padova, è pregevole opera di Tommaso Lazzoni.
Sulla parete opposta, l’altare dell’Immacolata ospita un’Immacolata Concezione in marmo che ornava l’antica Porta a Mare della città: si dice opera di uno scultore della famiglia Casserini, rilavorata da Tommaso Lazzarini a metà Ottocento. A sinistra segue l’altare del Crocifisso, eretto tra 1759 e 1768 per ospitare una reliquia del legno della santa croce donata dallo scultore Cybei, ed ornato da un coevo Crocifisso ligneo di scuola genovese.
A Giovanni Antonio Cybei, che fu sacerdote oltre che artista e primo direttore dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, rimanda anche la lapide funeraria (posta sul pavimento della chiesa in prossimità dell’altare del Sacro Cuore) di suor Fedele, nata Antonia Margherita Cybei (1707-1784) e sorella minore dello scultore. La toccante iscrizione rivela come quest’ultima avesse accudito amorevolmente il fratello, colpito da grave malattia: guarito Giovanni Antonio, tuttavia, fu Fedele ad ammalarsi, perdendo la vita. L’abate Cybei, “frater superstes”, fece giusto in tempo a dedicare questa bella lapide alla “dilectissima” sorella, che raggiunse entro pochi mesi, passando a miglior vita nel settembre di quello stesso 1784.