L’Accademia di Belle Arti di Carrara nacque, nel 1769, come scuola di disegno dal nudo: l’insegnamento (oltre alle nozioni di carattere geometrico e architettonico), non prevedeva dunque la copia dal modello, privilegiando un’educazione che mirasse alla formazione di scultori d’invenzione. Questa rigida impostazione mutò ben presto, dietro le richieste di alunni e professori, e nel 1774 un calco dell’Apollo di Belvedere, procurato a Roma dal “Primario Direttore” dell’istituto Giovanni Antonio Cybei (1706-1784), andò a costituire il primo tassello della lunga storia della gipsoteca dell’Accademia.
Già nel 1780 si procedette ad istituire un “premio della copia in iscoltura”, mentre il patrimonio di gessi si andò arricchendo di un Gladiatore morente proveniente dallo studio di Giovanni Baratta (1670-1747), e di altri modelli antichi. Questo primo nucleo, accresciuto a più riprese sino al 1796, soffrì danni e spoliazioni nel periodo rivoluzionario: sul principio dell’Ottocento si pose mano al problema sollecitando invii di gessi dalla vicina Lucca e da Parigi, nell’intento di fornire ai giovani un repertorio quanto più completo della statuaria classica.
Mentre Carrara, sotto il domino di Elisa Baciocchi, diventava il centro privilegiato per la produzione in serie di busti imperiali, le collezioni dell’Accademia crescevano, in numero e importanza, con le donazioni di Antonio Canova (1757-1822) ed i continui arrivi di ritratti in gesso dei napoleonidi.
Alcune consuetudini, assai radicate, contribuirono quindi ad ingrossare le fila della gipsoteca, per tutto il corso del XIX secolo: l’invio di modelli originali come ringraziamento, da parte dei professori onorari nominati dall’istituto, ed il nuovo regolamento dei concorsi, in base al quale le opere degli alunni vincitori sarebbero rimaste di proprietà della scuola. Ai pensionati era inoltre richiesto l’invio di un saggio in gesso, al termine di ogni anno di studio trascorso a Roma.
L’ingente patrimonio accumulatosi nei secoli sopravvisse pressoché intatto fino al secondo dopoguerra, quando il disinteresse accademico per il repertorio della scultura antica ed ottocentesca, portò a trascuratezza ed atti di vandalismo: dagli anni Ottanta, infine, si è provveduto ad una serie di restauri e alla catalogazione del materiale che, in attesa di una sistemazione definitiva, è disseminato nelle sale dell’antico palazzo Cybo Malaspina, sede dell’istituto da più di duecento anni.
Il nucleo più cospicuo di calchi dall’antico è quello conservato nell’aula magna dell’Accademia, dove si trovano i calchi delle Parche del Partenone, donati nel 1878 da Bernardo Fabbricotti, un gruppo del Laocoonte, un imponente Ercole Farnese, un Sileno Danzante ecc. Mentre l’Apollo del Belvedere non può essere l’esemplare del 1774 ricordato in precedenza, è invece assai probabile che il Gladiatore Morente sia riconducibile all’Accademia settecentesca. Tra i gessi moderni spiccano quelli di Canova: salendo lo scalone monumentale si incontrano dapprima il busto di Clemente XIII, ricavato dal monumento funebre del pontefice in San Pietro (1791), poi il ritratto a figura intera di Letizia Ramolino, madre di Napoleone. Quest’ultimo, assieme al grande Napoleone come Marte Pacificatore, fu offerto in dono dallo scultore nel 1810, in cambio dell’esenzione dal dazio di esportazione per due grandi blocchi di statuario destinati al suo studio romano.
Negli uffici del direttore, invece, si conserva un raro modello (1772) della statua equestre del duca Francesco III d’Este, eretta a Modena nel 1774 dall’abate Cybei. Il monumento originario fu distrutto nel 1796 e questo gesso, assieme all’analogo esemplare conservato nel Palazzo Ducale di Sassuolo, è prezioso per ricostruirne l’aspetto.
Di grande rilevanza anche il gruppo delle Tre Ore di Carlo Finelli (1782-1853), lascito testamentario dello scultore, conservato nella Sala Marmi, e i molti modelli di Bartolini, Cacciatori, Rauch, Thorvaldsen ecc.
Una particolare attenzione meritano i bassorilievi degli alunni vincitori dei concorsi per il pensionato: l’impressionante sequenza, purtroppo divisa in più stanze e cortili, si apre con il saggio del 1809 di Carlo Fontana (1782-1857), Ercole con un’amazzone ferita, e prosegue con opere dei più grandi autori usciti dalla scuola carrarese, da Pietro Tenerani (1789-1869) a Luigi Bienaimé (1795-1878), Ferdinando Pelliccia (1808-1892), Giuseppe Lazzerini (1831-1895), Carlo Nicoli (1843-1915), Alessandro Biggi (1848-1926) e molti altri. La sequenza dei rilievi permette inoltre di seguire l’evoluzione del gusto, e degli orientamenti stilistici dell’arte accademica, con il graduale abbandono del verbo greco e l’ingresso di elementi di verismo e simbolismo; si scoprono così i saggi di Carlo Fontana (1865-1956), Arturo Dazzi (1881-1961) e Alderige Giorgi (1886-1970), in un percorso emozionante che si conclude con un tema di pressante attualità, La tragedia del Polesine, con il quale Vittorio Tabaracci (1928-2014) risultò vincitore dell’ultimo concorso per il pensionato a Roma, svoltosi nel 1953.
La mancanza di una sede adeguata influisce senz’altro sulla fruizione di questo eterogeneo patrimonio, in gran parte ancora custodito nei depositi dell’Accademia, ma un recentissimo progetto promette di risolvere finalmente l’annoso problema, con il trasferimento dell’intera collezione nel cosiddetto Palazzo Rosso, edificio costruito a fine Settecento proprio come sede dell’istituto, il cui restauro è atteso da anni.