La chiesa del Carmine sorge in un nodo cruciale del centro storico di Carrara, dove l’antichissima via Santa Maria e la solenne via Loris Giorgi (già via Alberica) si incontrano per sfociare nell’attuale piazza Mazzini, maestoso spazio dominato dal palazzo dei principi. Qui si intersecano le due prospettive principali della città vecchia, quella che, partendo dalla piazza Alberica, incornicia il grande portale del palazzo sovrano, e l’altra che conclude la città medievale ponendo a capo di via Santa Maria la facciata del Carmine; non è un caso se, l’attuale zona pedonale del centro, inizia proprio da questo punto.
Il terreno, su cui insiste l’edificio, fu donato ai padri carmelitani nel 1587 dal primo principe di Massa e marchese di Carrara Alberico Cybo Malaspina, in un sito compreso nella nuova cinta muraria, il cui perimetro abbracciava un’area assai più vasta di quella dell’antica cerchia medievale. Nel 1596 la chiesa era ultimata nella sua struttura di base e a inizio Seicento, mentre proseguivano i lavori di abbellimento, fu eretto l’attiguo convento.
Ai padri carmelitani era anche affidata l’educazione dei fanciulli, con l’apertura di una scuola (1593), dove i bambini più piccoli avrebbero imparato a “leggere, scrivere, coniugare, dare le concordanze”. La scuola rimase attiva, con alterne vicende, fino al tardo Settecento, ospitando anche le prime riunioni dell’Accademia letteraria “Aruntica” (1793).
Nel periodo napoleonico l’intero complesso divenne sede degli atelier governativi di scultura, dove si realizzavano busti imperiali in serie, copie di statue antiche ed eleganti lavori di architettura in marmo. Nel 1807 si propose la rimozione completa degli altari dall’edificio, eventualità che, fortunatamente, non trovò seguito per motivi economici: nel maggio del 1808 i nuovi studi furono ufficialmente inaugurati, con i laboratori che trovavano spazio nei locali del convento, e la chiesa riconvertita a “Galleria dei Carraresi”, spazio espositivo permanente nel quale erano presentati al pubblico i più recenti lavori degli scultori locali.
Con la restaurazione si ebbe la riapertura al culto della chiesa, mentre il convento rimase in mano a privati: dopo essere stato usato anche come caserma e ufficio postale, per un breve periodo, venne quindi frazionato ed ospita, ad oggi, abitazioni e varie attività commerciali. Dal 1961 il Carmine fu retto dai padri Gesuiti, insediati in una moderna struttura lungo via VII luglio, e nel 2000 fu infine affidato ai padri Missionari di Maria.
La rigorosa facciata ottocentesca (architetto Giovanni Ugolini, 1853), ingloba il più antico portale in marmo (1623), con al centro una pregevole Madonna della Rosa, forse proveniente dall’oratorio della Compagnia della Rosa, confraternita ospitata nel Carmine fino al 1650. La si attribuisce allo scultore spagnolo Bartolomé Ordóñez (1480-1520), che trascorse a Carrara gli ultimi anni della sua vita, impegnato nella realizzazione del monumento a Filippo di Borgogna e Giovanna la pazza per la Cappella Reale di Granada.
L’interno ha i caratteri, sobri e austeri, del restauro tardo ottocentesco del conte Carlo Lazzoni (†1885): l’altare maggiore (1599) ospita una tela con la Madonna del Carmine attribuita al pittore sarzanese Domenico Fiasella (1589-1669). La Vergine, con il bambino in braccio, è raffigurata mentre passa lo scapolare carmelitano a san Simone Stock, protettore dell’ordine, dietro al quale si intravedono sant’Alberto da Trapani e una coppia di figure elegantemente abbigliate, forse i committenti dell’opera. Dal lato opposto san Carlo Borromeo, inginocchiato, e sant’Angelo da Gerusalemme. Sullo sfondo una figura barbuta che la tradizione popolare interpreta come autoritratto del pittore, ma che rappresenta, più probabilmente, altro santo carmelitano.
Tra gli altari della navata (da notare quello del Crocifisso, con croce seicentesca, e l’altro dedicato alla Madonna della Misericordia), spicca per monumentalità quello intitolato a Santa Maria Maddalena dei Pazzi: ultimato nel 1685, l’altare fu eretto per volontà del conte Francesco Maria Diana, esponente di una delle prime famiglie nobili carraresi. La sua realizzazione fu affidata allo scultore Giovanni Lazzoni (1618-1687), che pose la propria firma sulla base della statua centrale. L’architettura è semplice, ma ricca di decorazioni: quattro angioletti, con i simboli della passione, occupano la porzione principale dell’altare, circondando la nicchia in marmo portoro, con calotta a valva di conchiglia, che racchiude l’immagine della santa. Vestita dell’abito carmelitano, Maria Maddalena tiene nella mano destra il cuore, sul quale spiccano le parole del Vangelo di Giovanni “Verbum / Caro / Factum / Est”, mentre regge un crocifisso con la sinistra. Il delicato pathos dell’espressione e il dinamismo dell’opera, con i bordi della veste che sembrano seguire il moto spirituale della santa, fanno di questa scultura il capolavoro di Lazzoni, e l’intero altare, ultima opera dell’artista, è tra i più rilevanti dell’intera provincia.