La torta di riso è molto più di un semplice dolce caratteristico per gli abitanti di Massa e Carrara: punto fermo di ogni pranzo festivo che si rispetti, la deliziosa torta a base di latte, uova, riso e zucchero è ormai un rituale, fatto di ricette tramandate da generazioni, con “trucchi” e “segreti” che ne rendono “speciale” ogni versione.
C’è chi vi aggiunge un pizzico di sale, chi una caramella alla menta schiacciata (mentre altri rabbrividiscono all’idea) e non vi è assolutamente accordo su quale sia il giusto “rinfresco” (il liquore da aggiungere all’impasto prima della cottura): l’antico Alchermes, di tradizione fiorentina, il modenese Sassolino, con il suo gusto all’anice speziato, il beneventano Strega, che dona il giallo dello zafferano, o qualche “rum” nostrano, quelle vecchie miscele di alcol, sciroppi e aromi che prendevano il nome di “Rum Fantasia”. Alcuni sostengono vada usata una sapiente miscela dei suddetti (o altri consimili), ma attenzione, niente va lasciato al caso, ed esistono ricette precise anche per queste alcoliche “pozioni”.
La tradizione si fa poi sfida quando si cerca di attribuire la palma di miglior torta di riso, competizione che può scatenare rivalità tra parenti, amici e paesani, e sfociare in accese discussioni quando si tratta di stabilire quale città o paese vanti la ricetta più gustosa: la questione non si limita allo storico campanilismo che divide e unisce i due capoluoghi, Massa e Carrara, ma si estende alle frazioni e ai borghi montani.
Ad Avenza, dove sono soliti preparare la torta per la festa di San Marco, non ci sono dubbi: la miglior torta di riso è loro! Da Mirteto, nei pressi di Massa, si risponde con una vera e propria sagra del tipico dolce, nella variante “mortegiana”, il giorno di San Vitale. Sui monti di Carrara fanno sentire la loro voce gli abitanti di Gragnana, che sfornano torte di riso per San Michele, e quelli di Bedizzano, che per la festa di San Genesio cucinano il dolce in una variante dove il riso quasi sparisce (ed anche qui si organizzava un’affollata sagra). Gli unici ad astenersi, da quest’aspra contesa, sembrano essere i colonnatesi, che si tengono ben stretto il loro vigoroso Lardo di Colonnata IGP, snobbando forse il carattere borghese della tipica torta.
Non mancano le gare, con degustazioni e giurie, in grado di stabilire senza possibilità di appello quale sia la più “vera” e buona, tra le torte di riso: ne sono state organizzate a Marina di Massa, Montignoso, a Ronchi e altrove, persino sui social, dove si è votato (per forza di cose) solo per il dolce più bello. Su un popolare social network esiste anche un gruppo dedicato (“La vera torta di riso di Carrara e dintorni”) con oltre ottomila membri, spesso impegnati in vivaci discussioni.
Evitiamo di affrontare lo spinoso argomento della ricetta “originale”, ben sapendo di non poter accontentare tutti, ma ne potrete trovare varie versioni “ufficiali” con una breve ricerca su internet: a voi scegliere tra alcune questioni di capitale importanza, quali il numero di uova da impiegarsi per ogni litro di latte, che siano otto (per i più timidi), dieci (per le persone assennate), dodici (per i golosi) o più (per i veri temerari). Insomma, come avrete ben capito, la torta di riso non è una ricetta da tutti i giorni, ma una “bomba” di sapori da riservare ai giorni di festa.
Sulle origini della preparazione si sono espressi esperti come Paolo Petroni, giornalista, autore e presidente della “Accademia italiana della cucina”, e la scrittrice ed esperta di gastronomia locale Alma Vittoria Cordiviola: l’antenato del dolce moderno sarebbe quindi un’antica torta salata, con farro o orzo bolliti, latte di pecora o di capra, e formaggio. Lo zucchero era lusso per pochi, e il riso quasi sconosciuto, questo almeno fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando iniziarono a circolare i prodotti delle nuove risaie di Massarosa, nei pressi del Lago di Massaciuccoli (LU). Il caratteristico riso rosso, con i suoi chicchi allungati, era molto più delicato del farro o dell’orzo, e venne presto impiegato per produrre le prime torte di riso.
A questo punto, i due autori si sono posti una domanda? Quale classe sociale poteva permettersi latte, uova (in abbondanza), riso, zucchero e liquori per preparare il delizioso dolce? La principale indiziata è la ricca borghesia del marmo, che proprio tra la fine dell’Ottocento e primi decenni del nuovo secolo conosceva una crescita senza precedenti, trainata dalla costante domanda internazionale dei marmi (e delle sculture) di Carrara.
La storia sembra dunque indicare nella città del marmo la culla della torta di riso, ma attenzione: qualcuno fa notare come la Cordiviola sia una “carrarina” verace, ed abbia anche gestito a lungo un’attività commerciale nel centro storico della città. Il suo giudizio è senz’altro di parte, non obiettivo, è tutto da rifare!
Ormai è chiaro, sulla torta di riso non si scherza. Se vi capita di assaggiarne una (ormai sono molti i forni e i ristoranti che la offrono), apprezzatela senza troppe domande: è un argomento sensibile!