Questo breve itinerario tra i monumenti pubblici di Massa e Carrara prende le mosse da piazza Mercurio, l’antica piazza del mercato nel centro storico di Massa: qui, dove anticamente si trovava un pozzo, il marchese Alberico I Cybo-Malaspina fece erigere una fontana, sormontata da una statua in marmo di Mercurio (1566). Già da metà Seicento si cominciò a pensare ad ammodernare, e ingrandire, l’insieme, dandogli un impronta più monumentale tramite l’inserimento di un’alta colonna, ma il progetto rimase sulla carta per più di un secolo. Solo nel 1770, sotto gli auspici della duchessa Maria Teresa Cybo d’Este, si mise mano all’opera, realizzata secondo il disegno dell’architetto Domenico Bertelloni. L’impresa, tuttavia, si risolse in tragedia: due argani si ruppero mentre si issava una sezione della grande colonna in marmo, uccidendo un capo mastro muratore ed il direttore dei lavori. Nel settembre 1771, finalmente, si procedette a sistemare il danno, con l’intervento di un vero e proprio specialista nella movimentazione e messa in opera di scultura, il carrarese Giovanni Battista Raggi (1728-1794). La nuova statua del Mercurio con la sua colonna (entrambe realizzate nei laboratori di scultura di Carrara) rimase intatta fino al 1945, quando cadde disgraziatamente sotto un colpo dell’artiglieria alleata, e l’aspetto attuale del monumento si deve a un restauro del 1980 (la scultura odierna è una copia).
Proseguendo verso il palazzo ducale si giunge, con un brevissimo percorso, nella piazza Aranci, ampio spazio pedonale nel quale si erge l’Obelisco dell’Unità Italiana. L’obelisco vero e proprio fu eretto nel 1853, quando la città faceva parte del ducato di Modena, ed era pensato come atto di gratitudine verso i sovrani estensi. Le iscrizioni originarie, che ricordavano l’intervento ducale a favore dell’industria dei marmi e dell’istruzione, furono rimosse nel 1860, e sostituite con nuove epigrafi di ispirazione patriottica. Nel 1886 il complesso fu arricchito con l’inserimento della fontana, decorata dai quattro leoni in marmo disegnati dal carrarese Giovanni Isola, direttore del “Real Stabilimento di Belle Arti in Massa” (oggi Istituto Statale d’Arte), e completati dal figlio Lodovico. Risale infine al 1945 la lapide che ricorda la “leggendaria resistenza apuana”, testimonianza tangibile dell’alto valore simbolico da sempre riconosciuto a questo monumento.
Scendendo a valle, con una piacevole passeggiata lungo viale Eugenio Chiesa, si raggiunge in qualche minuto il monumento a Giuseppe Garibaldi, eretto nella piazza omonima nel 1906. Il modello fu approntato a Firenze dallo scultore Ezio Ceccarelli (1865-1927), ma la sua traduzione in marmo avvenne in città, nei laboratori dell’imprenditore Clemente Cuturi, che affidò il lavoro a un giovane artista romano, Fernando Tombesi (1878-1969). Mentre la figura dell’eroe risorgimentale, avvolta nell’iconico mantello-poncho, è piuttosto convenzionale, stupisce il basamento, nel quale non sono rappresentati episodi di storia garibaldina ma quattro concetti allegorici (Vis et Ius; Pro Patria; Unitas; Libertas), in un turbinio di immagini dal gusto assai eclettico.
Spostatisi nella vicina Carrara, con un percorso in automobile di una decina di minuti (passando per la panoramica strada della Foce), l’itinerario riprenderà le mosse dalla centralissima piazza Gramsci: questo piacevole spazio urbano, ricavato a fine Ottocento dagli antichi giardini del principe (dai quali il popolare nome di “Piazza d’Armi”), è ricco di monumenti, confermando la vocazione artistica, e la forte tradizione civica, della città.
Pellegrino Rossi, dall’alto del suo scranno, domina la scena. Nato a Carrara nel 1787, Rossi fu celebre giurista e uomo politico, convinto federalista; il suo assassinio, nel 1848, scatenò gli eventi che portarono alla nascita della Repubblica Romana. Il modello per la statua si deve al concittadino Pietro Tenerani (1789-1869), mentre la versione in marmo fu lavorata da Scipone Iardella (1823-?), con la supervisione di Ferdinando Pelliccia (1808-1892), al tempo direttore della locale Accademia di Belle Arti. I rilievi laterali raffigurano L’insegnamento di Rossi all’Università di Parigi, di Alessandro Biggi (1848-1926), e Rossi davanti al Consiglio federale della Svizzera, di Aristide Milani (†1878): lo stato di conservazione dell’insieme risente degli ingenti danni causati da un attentato dinamitardo che, nel dicembre del 1978, colpì duramente il Pellegrino Rossi in occasione di una visita del ministro Andreotti in città.
Sulla sinistra il gruppo con la Civiltà che conquista la Barbarie dello scultore francese André-Joseph Allar (1845-1926) e, sul lato opposto, i monumenti a Giuseppe Verdi (1919, di Giuseppe) e al sindacalista anarchico Alberto Meschi (1965), che lo scultore Ezio Nelli (1909-1999) raffigurò circondato da un gruppo di cavatori con le loro famiglie. Le iscrizioni ricordano le conquiste sociali ottenute da Meschi a favore dei lavoratori del marmo.
Oltrepassata la grande fontana con la Palla Galleggiante (1979) di Kenneth Davis (1918-1992) e raggiunto l’antico palazzo Cybo-Malaspina, seguono in sequenza: Plage et falaise (1960), del notissimo scultore francese Jean Ipoustéguy (1920-2006), la Venere Apuana (2023) di Franco Mauro Franchi, ed il Pietro Tacca (1900) di Carlo Fontana (1865-1956), memoria del grande scultore seicentesco (nato a Carrara), noto ai più come autore dei famosi Quatto Mori (1623-1626) di Livorno (dei quali la statua riprende la posa).
Sul lato opposto di palazzo ducale, nell’omonima piazza, si erge invece l’imponente Giuseppe Mazzini (1892) di Biggi (che abbiamo già incontrato tra gli autori del monumento a Pellegrino Rossi); lo scultore, che fu anche sindaco della città, era noto per il vivace “spirito di verità”, ed il suo Mazzini, in atteggiamento pensoso mentre apre il manifesto della “Giovine Italia”, sembra quasi in procinto di scendere dall’alto piedistallo, ornato dalla Lupa di Roma ferita da una freccia, simbolo di quella Repubblica romana del 1849 che lo ebbe come triumviro.
Imboccata l’antica via Santa Maria si entra quindi nella parte più antica della città, toccando presto la piazza del Duomo, dove si trova il titanico Gigante (1537) di Baccio Bandinelli (1493-1569), ritratto colossale del condottiero genovese Andrea Doria in veste di Nettuno, reinventato ad uso di fontana nel 1564.
Disceso il primo tratto di via Ghibellina, dalla facciata del Duomo, una breve deviazione sulla destra conduce, attraverso il settecentesco Ponte delle Lacrime, all’antica fonte della Sirena, la cui figura (assai consunta), ha ispirato una popolare leggenda sul presunto amore tra la creatura mitologica e l’indovino Aronte. Poco più avanti, in una nicchia lungo la via Carriona, ci si imbatte in un incompiuto Curzio che si getta nella voragine: la statua equestre, probabile rimasuglio di uno dei numerosi laboratori di scultura esistenti in zona Sette e Ottocento, è stata a lungo creduta opera romana, ed ha dato il nome al rione (detto appunto “al Cavallo”).
Tornando su via Ghibellina, e percorrendola fino alla piazza Alberica, si trova quindi il maestoso monumento a Maria Beatrice d’Este (1824): emblema della Carrara neoclassica immortalato dai versi di D’Annunzio (“Su la piazza Alberica il solleone // muto dardeggia la sua fiamma spessa; // e, nel silenzio, a piè della Duchessa // canta l’acqua la sua rauca canzone”). Il monumento si compone di un alto basamento con gradoni e fontana, al di sopra il quale si erge la statua della sovrana (duchessa di Massa e principessa di Carrara, scomparsa nel 1829), maggiore del vero, in vesti all’antica, con l’aquila estense e coronata dal “Pòlos”, copricapo usato per le divinità materne nell’antica Grecia. È opera di Pietro Fontana (1782-1857), mentre il basamento è ornato dai bassorilievi con Aronte tra le arti sorelle, di Matteo Bogazzi, Minerva che presenta il Genio della Scultura a Carrara, di Giovanni Tacca (1803-1831) e Maria Beatrice in trono tra Carità, Giustizia e Religione, di Giuseppe del Nero.
Usciti dalla piazza e dirigendosi verso il teatro Animosi si incontrano, dapprima, il monumento al mazziniano Antonio Fratti (1906, in piazza Fabrizio de André), quindi quello a Giuseppe Garibaldi (1889, nell’omonima piazza), entrambe opere dello scultore e imprenditore Carlo Nicoli (1843-1915), nel cui studio (tutt’ora esistente) furono realizzati molti dei monumenti incontrati in precedenza, dal Tacca di Fontana alle opere di Allar e Ipoustéguy. L’eroe dei due mondi è colto nell’atto in cui, con gesto vigoroso, sbarca a Marsala, con la spada sguainata e ancora un piede sulla barca, in un insieme di grande vivacità che sembra riecheggiare le parole che Garibaldi pronunciò allora: “Eccola! L’isola dei portenti; la patria di Cerere, d’Archimede e dei Vespri, cioè dell’intelligenza e del valore”.
A poche decine di metri, all’incrocio tra corso Rosselli e via Cavour, il percorso si avvia a conclusione con la Fontana della Moretta (1928) di Cesare Poli (1904-1964), allusiva alle imprese coloniali italiane, e termina in piazza 2 Giugno, presso la sede comunale, con l’elegantissimo Messaggero (1967, noto anche come Colomba della Pace) di Carlo Sergio Signori (1906-1988), milanese di nascita ma carrarese di adozione, al quale si deve anche il controverso monumento all’anarchico regicida Gaetano Bresci, installato dopo la scomparsa dello scultore (nel 1990) nei pressi del Cimitero di Turigliano, a circa quattro chilometri dal centro storico.