Conosciute e celebrate sin dall’antichità, le Cave di Marmo di Carrara sono state meta, nei secoli, di un infinito numero di mercanti, architetti, scultori, scalpellini, geologi, geografi, naturalisti o semplici curiosi, attratti dalla preziosità del materiale, dal paesaggio lunare e dal titanico rapporto esistente tra l’uomo e la montagna.
Ne parlò già Strabone, ai tempi dell’imperatore Tiberio, quando i marmi di Carrara erano conosciuti come marmi lunensi (dalla vicina città di Luni, le cui rovine sono visitabili a pochi chilometri dalla città moderna), mentre Dante vi collocò la spelonca dell’indovino Aronte, “fra’ bianchi marmi”. I visitatori più celebri, da Michelangelo a Giambologna e Canova, lasciavano la loro firma sull’edicola di Fantiscritti (un rilievo d’epoca romana oggi conservato nell’Accademia di Belle Arti), o affidavano le loro impressioni a diari di viaggio che potevano conoscere grande diffusione (come quelli di Charles Dickens).
I siti d’estrazione sono racchiusi, pressoché in toto, in un grandioso anfiteatro naturale, suddiviso morfologicamente in tre profonde valli, alle quali corrispondono i ben noti bacini di Torano, Miseglia e Colonnata. Il marmo che affiora da queste montagne è una roccia metamorfica, formata cioè dalla trasformazione di una roccia precedente in seguito a forti variazioni di temperatura e pressione. La sua origine risale al Giurassico inferiore, quasi duecento milioni di anni fa, quando la Toscana nordoccidentale era ricoperta dal mare: sedimenti calcarei depositati sul fondo marino, a profondità non eccessive, iniziarono allora a sovrapporsi compattandosi, originando una grande piattaforma rocciosa. In epoche più recenti, la continua evoluzione della crosta terrestre, sottopose questa roccia originaria a innalzamenti e piegamenti molto complessi, provocando una completa ricristallizzazione del carbonato di calcio. Il calcare si trasformò in marmo e si delineò la complessa struttura geologica delle Alpi Apuane.
Molti collegano il nome di Carrara solo alla più pregiata qualità di Statuario, particolarmente amata dagli scultori, ma sono ben sette le principali varietà del materiale estratto dalle cave del territorio: il Bianco ordinario presenta piccole macchie o venature, e si presta a molteplici usi, ma anche il Venato, caratterizzato da una maggiore presenza di striature grigiastre, è assai richiesto da architetti e designer. Il Bardiglio, dal colore tra il ceruleo e il bluastro, vanta una nobile tradizione da comprimario, avendo sempre accompagnato i bianchi più comuni, nella realizzazione di pavimenti e altari, ed ha fornito il materiale per un numero infinito di nicchie e basi per le sculture realizzate nel più nobile Statuario, in assoluto il materiale più celebrato. A questi si aggiungono l’Arabescato, dalle suadenti trame, il Cipollino, assai meno comune, ed il prezioso Calacatta, particolarmente apprezzato nella varietà solcata da venature giallo oro.
L’escavazione, dopo l’epoca romana, conobbe una lunga pausa, ed è solo verso la fine del 1200 che si registra una vera e propria rinascita delle attività nei bacini marmiferi. Le tecniche, rimaste immutate per secoli, cominciarono ad evolversi sul finire del Settecento, con l’introduzione delle prime varate per mezzo di esplosivi. Contemporaneamente, a valle, aprivano i primi opifici industriali ad acqua, per la lucidatura ed il taglio dei marmi.
Nella seconda metà dell’Ottocento il mondo dell’estrazioni conobbe un grandissimo sviluppo, sostenuto da innovazioni tecnologiche quali il filo elicoidale e la puleggia penetrante. Un’impressionante infrastruttura, inaugurata nel 1876, collegò direttamente i siti delle cave alla ferrovia e al portile caricatore costruito alla marina: la Ferrovia Marmifera, rimase attiva fino al 1964, ma le sue strutture, ponti, gallerie e viadotti, sono ancora in gran parte percorribili.
L’introduzione di tagliatrici a filo diamantato e di macchinette perforatrici, uniti allo sviluppo del trasporto su gomma, segnarono quindi l’avanzata inesorabile delle superfici di cava, nella seconda metà del Novecento.
I frutti dell’industrializzazione e i progressi della tecnica hanno profondamente mutato lo storico rapporto tra l’uomo e la montagna, che ha richiesto un pesante tributo di sangue a molte generazioni di carraresi. Negli ultimi decenni, la drastica riduzione dei lavoranti, a fronte di un aumento esponenziale dell’escavazione, ha innescato un acceso dibattito in merito al futuro dei bacini estrattivi: la sfida del futuro, difficilissima, sarà quella di conciliare tutela dell’ambiente, lavoro e patrimonio storico.