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La via Vandelli

La-Via-Vandelli

Prende il nome di via Vandelli l’impervio percorso, a tratti spettacolare, creato nel Settecento per unire i territori del ducato di Modena e Reggio agli stati di Massa e Carrara.  

L’ultimo duca di Massa, Alderano I Cybo Malaspina (1690-1731), era passato a miglior vita senza aver generato figli maschi; la più grande delle tre figlie, Maria Teresa, aveva appena sei anni alla scomparsa del padre, ma finì presto al centro di complessi intrighi matrimoniali. 

L’unione della giovane erede con il principe Ercole Rinaldo d’Este, nel 1738, sancì l’unione politica dei domini estensi e cybei, aprendo alle mire espansionistiche del duca di Modena Francesco III. Questi, desideroso di ottenere uno sbocco a mare per i suoi stati, investì una grossa cifra nei progetti per la costruzione di un porto fortificato sulla spiaggia di Avenza, presso Carrara, ed incaricò Domenico Vandelli (1691-1754) di provvedere all’apertura di una nuova strada che permettesse il collegamento diretto tra Massa, Reggio e Modena.  

Matematico, geografo e naturalista, Vandelli mappò accuratamente il territorio per evitare pendenze eccessive, ma nulla poté contro i ripidi declivi delle Apuane: il primo tratto della strada, salendo dal versante di Massa, fu quindi realizzato con massicciate di pietra a secco a formare panoramici (e vertiginosi) tornanti, fino alla quota di 1634 metri sul livello del mare, in prossimità del passo della Tambura. L’antico percorso può essere affrontato oggi seguendo il sentiero CAI 35, con partenza da Resceto, ma la sua conformazione lo rende ancora proibitivo nei mesi invernali.  

Il viaggio era lungo e difficile: la prima tappa conduceva da Massa a Vagli, ed occorreva un’altra mezza giornata per toccare Castelnuovo Garfagnana, dove risiedeva un governatore di nomina estense. Il terzo giorno sarebbe servito per salire fino a San Pellegrino in Alpe e al passo delle Radici, da dove si sarebbe raggiunta poi la “Fabbrica nuova” presso Lama nel Frignano. Sorpassata Pavullo rimaneva da affrontare un più agevole percorso che, passando per Sassuolo, avrebbe infine portato a Modena o Reggio.  

L’unico tratto carrozzabile rimaneva quello emiliano, fino a Lama, mentre il resto del viaggio doveva essere affrontato a piedi, a cavallo o a dorso di mulo; i personaggi più illustri, come la duchessa Maria Teresa, potevano contare, al massimo, su qualche lussuosa ma angusta portantina. In definitiva, la distanza che oggi viene coperta, con tratti autostradali, in circa due ore e mezzo, richiedeva un impegno che poteva andare dai tre giorni (a cavallo), fino ad un’intera settimana; il tutto tra mille difficoltà, nonostante la strada fosse provvista di moderne infrastrutture per l’alloggio e il ristoro. 

La via Vandelli entrò in funzione nel 1751 e, dal 1753, ospitò un regolare servizio di posta a cadenza settimanale. Usata soprattutto da piccoli mercanti, artigiani e militari, perse la maggior parte delle sue funzioni con l’apertura della strada dell’Abetone (1781), che forniva un più rapido collegamento tra la Toscana e l’Emilia. 

In tempi recenti, l’antico percorso della via Vandelli è stato oggetto di un’attenta riscoperta: un progetto, sostenuto dal Club Alpino Italiano, dal FAI e da venti comuni emiliani e toscani, ha previsto interventi di ripristino, la creazione di un’opportuna segnaletica escursionistica ed il posizionamento di pannelli turistici e culturali. Un cammino in sette tappe, pubblicizzato con guide, podcast e video, permette oggi di seguire il tracciato originale, con poche varianti moderne, in tutta sicurezza, per lasciarsi affascinare da una commistione unica di storia, natura e leggenda. 

L’avventurosa strada, infatti, non ha mancato di originare una tradizione orale fatta di fantasmi, dal brigante della Tambura alla cosiddetta Fossa dei morti, dove si vuole abbiano incontrato un tragico destino alcuni mercanti di sale, sopresi dal maltempo, i cui lamenti sarebbero ancora udibili nelle notti nevose.